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Ago 04

Il mito di Er

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Ne “Il codice dell’anima”, Hillman si ispira al mito di Er che Platone pone alla fine de La Repubblica, un’opera antichissima, scritta circa duemilaquattrocento anni fa. Il mito parla dell’anima, termine che non deve essere inteso in senso religioso. Infatti, essa riguarda un aspetto interiore dell’essere umano, che agisce in base a regole e bisogni molto diversi rispetto a quelli del corpo, ma che come il corpo ha necessità di nutrimento e cure. L’anima ha interessi, desideri, passioni che manifesta secondo logiche che non sono decifrabili a prima vista. Inoltre, Hillman ci fa notare un aspetto molto interessante, ovvero che il concetto di anima è presente in quasi tutte le culture sulla terra ed è considerato il nucleo della personalità (proprio perché è considerato il nucleo della personalità, viene da chiedersi perché noi occidentali lo abbiamo eliminato dai testi di psicologia e di psichiatria!).

La mitologia greca ha un ruolo importante nella nostra cultura. Come le scienze (in particolare la genetica delle popolazioni, la biologia, la paleontologia) ci insegnano che la prima cultura muove i suoi passi in Africa – eh sì siamo tutti africani, e dobbiamo mettercelo in testa! – e con la teoria dell’evoluzione Darwin ci svela che eravamo delle scimmie – questo sembra già più facile da accettare! – allo stesso modo la cultura e la tradizione hanno subito profonde trasformazioni. Da sempre, l’uomo migra, cambia habitat, si ingegna per sopravvivere alla natura e dove si insedia costruisce, trasforma, bonifica non solo in senso pratico ma anche culturale e sociale. Dunque, semplificando, oggi possiamo dire di essere un popolo italiano, francese o tedesco, ma un tempo eravamo un popolo latino, prima ancora greco, più in dietro nel tempo assiro e così via, sino a quando l’uomo era una scimmia e viveva in gruppo nel continente africano. In altri termini, l’evoluzione riguarda non soltanto il nostro pianeta e l’uomo ma anche la cultura e la tradizione. La mitologia greca appartiene al nostro passato culturale– siamo stati greci! – e, per quanto ne possiamo sapere oggi, l’idea di anima risale a circa duemilaquattrocento anni fa, grazie al filosofo greco Platone, che, nelle sue opere, si rifà ai miti greci. In base alla “genetica delle culture”, il concetto di anima ci appartiene di diritto, è soltanto che abbiamo smesso di occuparcene. Infatti: pensiamo mai all’anima di nostro figlio? Oltre alle cure fisiche – pappa, cacca, nanna – consideriamo la cura dell’anima? Cioè, come genitori, siamo disposti a interessarci al mondo interiore dei nostri figli? O diventa un aspetto da considerare soltanto quando manifestano delle difficoltà?

Il mito di Er spiega che prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un disegno di vita che poi vivremo sulla terra. L’anima sceglie il corpo, il luogo, i genitori, le situazioni di vita adatte all’anima stessa e corrispondenti alle sue necessità. Inoltre, l’anima riceve un compagno – daimon – che ci guiderà. Una volta venuti al mondo, dimentichiamo la nostra scelta. E’ Il daimon che ci ricorda i contenuti del nostro disegno di vita, è il daimon il portatore del nostro destino, o vocazione (termini da intendersi come sinonimi). Platone racconta questo mito affinché non dimentichiamo la nostra anima e le sue scelte.

Perché il nostro destino si compia, il daimon si mette all’opera sin dall’infanzia e non è possibile sbarrargli la strada. I problemi e le difficoltà dell’esistenza fanno parte del disegno di vita che ci siamo scelti, sono necessari e contribuiscono a realizzarlo. La vocazione può essere rimandata, negata, persa di vista, non importa: alla fine verrà fuori, perché il daimon non ci abbandona e ha il duro compito di aiutare l’anima a realizzare la sua vocazione. Sin dai tempi più antichi, filosofi e poeti hanno cercato un nome per indicare il destino o la vocazione. Per i latini era il genius, per i cristiani l’angelo custode, per gli eschimesi lo spirito, per gli egizi il Ka o Ba, per i greci il daimon.

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Il codice dell’anima ha per argomento il destino, la vocazione, il carattere: le cose che, insieme, danno sostanza a quella che Hilman chiama “teoria della ghianda”. La ghianda è il seme che diventerà una quercia enorme, e per Hillman diventa metafora fondamentale dell’esistenza: l’immagine di un intero destino sta tutta stipata in una ghianda. Questa teoria spiega che ciascuno di noi è portatore di un’unicità che chiede di essere vissuta e la voce che chiama è forte e insistente quanto le voci repressive dell’ambiente (ovvero la famiglia, la scuola, il gruppo di amici).

Dunque, che cosa potrà mai trovare di tanto interessante una mamma che tutti i giorni ha duecento milioni di cosa da fare ne Il codice dell’anima? Moltissimo, perché inizierà a riflettere sull’anima del proprio bambino, sulla sua unicità e a pensare che non è venuto al mondo da solo, bensì con un angelo custode, o daimon.

 

 

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