Ero pronta a ritornare casa, la mia vacanza in Thai poteva anche terminare al ritorno dalla giungla selvaggia. Mancava ancora una settimana e avevo voglia di dormire, pensare poco, cazzeggiare. Così da Chang Mai sono partita per Phi Phi Island, incantevole tesoro del mare delle Adamantine. Le giornate trascorrevano lente poiché non avevo alcun impegno o obbligo temporale da rispettare: la mattina andavo al porto, prendevo una long tail boat (la tipica barca thailandese, simile alla gondola veneziana) e stavo in mare aperto, rimanevo in acqua per ore, coi pesci, nelle grotte, su e giù dagli scogli a martoriarmi i piedi, mentre nel tardo pomeriggio stavo in spiaggia, all’ombra delle palme a leggere, mangiare patatine fritte e bere la mia birra ghiacciata.
Phi Phi è anche una discoteca a cielo aperto 24 h su 24 e una notte un giovane di vent’anni bussò alla mia porta per invitarmi a una festa – divertente ma: poteva essere mio figlio! Così decisi di rifare lo zaino e di partire. Chiesi al ragazzo che gestiva la guesthouse di indicarmi un posto per pensionati: “vai a Phuket, ti consiglio Kamala o Surin, lì non c’è nulla”. La Lonley Planet descriveva Kamala come un paesino di pescatori, frequentato da famiglie con bambini piccoli; mi colpì Surin poiché la sera, il lungo mare si riempiva di chioschi dove i locali cucinano il pesce fresco. Con un nave veloce sono arrivata a Phuket, dove ho preso un taxi per Surin. Ancora mi chiedo come sarebbe oggi la mia vita se non fossi arrivata a Kamala.
Di fatto devo ringraziare quel tassista che non conosceva l’indirizzo dell’albergo di Surin, mentre aveva un’ottima opinione del Benjamin di Kamala, e la mia innata pigrizia mentale – non avevo voglia di impegnarmi con cartina e guida! – e così mi sono lasciata accompagnare a Kamala. Dal mio albergo vedevo una lingua di sabbia bianca sotto alle palme e di sera, verso le 22, i ristorantini sulla spiaggia già si preparavano a chiudere: un posticino dimenticato da Dio, quello che faceva per me. Una sera al tramonto, mentre passeggiavo sul bagno asciuga, mi viene in contro un uomo: riccioli neri fino alle spalle, occhi che ridono, sorriso sveglio, un corpo longilineo e asciutto.
“Vuoi fare un massaggio?” mi chiede – che in Thailandia e’ una filastrocca continua ad ogni angolo! Io ho incrociato i suoi occhi appena – la mia era una vacanza in solitaria e non avrei mai stravolto i miei i miei progetti, nemmeno con chiacchiere da bar – e ho tirato dritto rispondendo appena con un no, secondo me, deciso. La sua insistenza unita al suo modo gentile e simpatico mi hanno impedito di proseguire, così, di fronte a un banana shake, abbiamo chiacchierato a lungo. Abbiamo passato insieme il giorno dopo e quello dopo ancora. Nel tardo pomeriggio, quando Alee – il suo nome – finiva di lavorare, mi portava in giro ovunque, poi a cena, poi con gli amici, finché sono tornata in Italia.
To be continued…
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