Alla fine: che ci faccio in Thailandia? Il mio compagno di banco del liceo nonché testimone di nozze – Paolo Zelati – dice che se avessi seguito il suo consiglio di partire per Cuba, non mi sarei fatta ingravidare da un thailandese, motivo, secondo lui, per cui vivo a Phuket. Questa gag alla “Amici miei” è madre di moltissime altre, ad esempio quella in cui mi presenta ad amici a me sconosciuti come “quella che si è fatta mettere incinta da un Thailandese”. Devo però ammettere che, questa gag, un fondo di verità ce l’ha pure. Durante i nostri discorsi, quelli che ti tengono alzato sino a notte fonda, abbiamo analizzato almeno quattro motivazioni che Paolo stesso definirebbe: blà blà blà.
La prima: mentre ero in Italia, Alee mi chiamava spesso, e durante ogni telefonata respiravo il sole di quel Paese che si scioglie al caldo 365 giorni l’anno. Sono tornata a Phuket durante l’estate successiva, volevo vedere Alee ancora una volta. Da allora, per quattro anni ho fatto la spola su e giù per la Thailandia, e a Cuba non ci sono mai stata. L’anno dopo abbiamo fatto domanda di visto turistico per l’Italia, in modo che la mia famiglia potesse conoscere Alee e Alee il mio Bel Paese. Dopo continue richieste di documentazione, colloqui su colloqui, sino alla pretesa che si ripresentasse coi capelli corti – “ma siete tutti convinti che la gente voglia venire in Italia a tirare delle bombe?” mi chiede colpito e, conoscendolo, divertito dalla tiritera – l’ambasciata italiana respinge il visto. Sono andata in Thailandia per le vacanze estive, e sono tornata incinta, seconda motivazione, l’unica plausibile che sembra sentire Paolo.
La terza è subito dietro l’angolo: dovevamo sposarci – in Thailandia per ovvi motivi! – e fare tutti i documenti per tutelare nostro figlio o nostra figlia che doveva avere la doppia nazionalità. Dall’Italia ho prenotato gli appuntamenti in ambasciata a Bangkok e, in “cinque mesi suonati”, sono partita col mio fratellone e Paolo naturalemente, che non poteva perdersi il matrimonio dell’anno.
Mia figlia si chiama Lanna (si pronuncia Lannà, nome thailandese che significa preziosa), è nata il due aprile del duemilatredici e Alee è stato in Italia sei mesi. Con la famiglia al completo – quarta motivazione – da novembre 2013 vivo in Thailandia, a Phuket.
Rispetto a molte storie di persone che hanno lasciato il Paese d’origine, io non sognavo paesi tropicali, non ho fatto esperienze prolungate di vita all’estero – non mi è mai interessato nulla di tutto questo – e non ho mai desiderato un cambiamento di simile portata. Paolo lo sa bene: io non ho mai pensato di sposarmi e avere dei bambini.
Dal mio primo viaggio in Thailandia sono successe molte cose, e io le ho vissute fino in fondo senza farmi troppe domande: l’amore per Alee, la gravidanza, il matrimonio e infine la nascita di Lanna. Semplicemente, le cose accadono in un tempo ben preciso. Credo che per qualsiasi persona a un certo punto arrivi il tempo di scegliere e sta tutto qua. Io sono partita perché era il tempo: anche se avevo ancora tante cose da fare, anche se non ero pronta e avevo paura. Era tempo di andare, non perché mi andasse, non perché era il periodo buono, non perché la mia vita fosse tutta a posto e in ordine. Questo non accade mai. La semplice verità, nonostante tutto quello che ci possiamo raccontare, è che quando è tempo è tempo e si deve andare. Così ho fatto io.
Devo infine ammettere che il tempo più importante, che ha scandito cambiamenti e decisioni, sia stato quello del concepimento di Lannà…ma io anche sotto tortura avanzerò le mie motivazioni blà blà blà.
1 comment
Kris
novembre 20, 2015 a 9:04 PM (UTC 1) Link a questo commento
Che bella storia. Amore non ha confini !Auguri di tanto amore e felicita e prima o poi Ti verrò a trovare